Tipologie e suddivisioni nel mondo dei whisk(e)y


Esistono molteplici tipologie di whisky (e whiskey) nel mondo dei distillati nobili, motivo per cui spesso risulta difficile orientarsi al fine di scegliere la “versione” più adatta al gusto ed esigenza personale.
Spesso considerati -nella tradizione europea- distillati da meditazione, i whisky hanno una principale caratteristica che ne determina una prima ma efficace selezione: l’origine di provenienza.
Un’altra nota meritevole di menzione è la differenziazione dei whisky in base alle materie prime (o miscele) selezionate.
Vediamo più nel dettaglio come si suddividono e analizzano le varie categorie di questo distillato, costellato di una storia antica e a tratti persino bizzarra, che lo ha visto emergere fino a divenire parte integrante di una tradizione secolare nella distillazione dei cereali.
A tal proposito iniziamo con lo SCOTCH WHISKY (di origine scozzese).
Considerato un po’ il re in questo settore, lo scotch vanta indubbiamente una posizione di prestigio a livello mondiale, e ciò lo deve anzitutto alla zona geografica di provenienza/produzione: la Scozia, alla quale si riconosce brillantemente il titolo di “madre” del vero whisky. Inoltre la Scozia si è collocata ben presto tra le più importanti aree di produzione, divenendo la patria ufficiale di questo distillato nobile, vantando le tecniche più antiche nella storia della distillazione. Inoltre, elemento imprescindibile del whisky scozzese e della sua fama mondiale è la territorialità di questi luoghi, che incide fortemente su due fronti molto importanti.
Nella fase di produzione prevale la presenza dei TORBATI, ovvero quei whisky in cui prevale l’aroma particolarmente fumoso, conferitogli appunto dalla torba. L’orzo una volta germinato (dopo essere stato ammollo in acqua per alcuni giorni) viene essiccato in appositi forni per stopparne la germinazione, ed è proprio in questa fase che si inserisce la torba -di cui la Scozia è particolarmente ricca-  storicamente utilizzata come combustibile principale. In questa fase i fumi della torba andranno ad arricchire il malto di aromi che si ritrovano poi a distanza anche di diversi decenni nel nostro whisky.
Molte distillerie scozzesi producono whisky torbati e la maggior parte di queste nelle isole Ebridi.  Tra le più importanti distillerie produttrici di whisky torbato single malt troviamo (in ordine di intensità di sentori torbati) Laphroaig, Caol Ila, Lagavulin, Talisker, Bowmore, Oban… ed altri ancora. 

Ci sono poi whisky ottenuti dalla miscela di più sigle malt, ovvero i blended malt (miscela di più whisky di orzo maltato con maggiore intensità del sentore di torba) di questi ne sono esempio i celebri e virtuosi Big Peat, Smokey Joe… Mentre nel caso dei  blended scotch whisky rimane moderato il sentore torbato, come nell’immancabile Johnnie Walker, dalle note caratteristiche più morbide ed equilibrate.

Nella fase di invecchiamento, esiste un disciplinare dello scotch whisky che prevede un periodo minimo di tre anni affinché il whisky possa considerarsi tale, prima di questo arco temporale minimo verrà identificato con la sola nomenclatura di “spirit”.

Per quanto riguarda i single malt, va specificato che sono quei whisky prodotti da una singola distilleria, ottenuti da solo orzo maltato senza alcuna aggiunta di altri cereali. In alcuni casi però, per realizzare un determinato prodotto il disciplinare ammette l’utilizzo di altri malti.

Su territorio americano, ci sono gli AMERICAN WHISKEY, prodotti e invecchiati negli Stati Uniti, e si distinguono per le caratteristiche delle differenti materie prime utilizzate.

Iniziamo dal rinomato BUORBON WHISKEY:
Questo whiskey è per eccellenza il più diffuso e apprezzato distillato americano, la cui caratteristica principale è data dal disciplinare di produzione che impone l’utilizzo di mais per almeno il 50% e più, con un invecchiamento di minimo 4 anni in botti di quercia americana, il cui legno conferirà al distillato il suo colore ambrato, senza aggiunta di caramello.  Il nome Bourbon deriva appunto dai Borboni francesi, un tempo colonizzatori  degli Stati Uniti d’America del sud, che diedero il nome anche alla Bourbon County, la stessa contea dove il whiskey è nato e viene prodotto in grandi quantità.  L’utilizzo del mais come cereale principale nei whiskey americani diventa peculiarità fortemente caratteristica nello spettro dei sapori, conferendo loro un’ampia gamma di note dolci e speziate. Esempi celebri di Bourbon sono Jim Beam o Wild Turkey 101…

Ci sono ancora gli STRAIGHT BOURBON, ovvero quei whiskey americani affinati per soli due anni in botti. Peculiarità di questi ultimi è la purezza e qualità nei quali almeno il 51% è dato dal distillato indicato, tagliato per la quantità restante, con alcol neutro. Esempio: Buffalo Trace Kentucky Straight Bourbon

Per quel che concerne i BOURBON prodotti nel Tennessee, questi assumeranno la nomenclatura di TENNESSEE WHISKEY, e sono dei whiskey che previo imbottigliamento, vengono sottoposti a filtrazione a carboni d’acero. Questo processo gli conferisce un sentore di fumo caratteristico molto più dominante rispetto ai classici Bourbon.
Il più famoso è senza alcun dubbio il Jack Daniels.

 

Facciamo adesso  un salto in Irlanda. Si ritiene che l’arte della distillazione sia stata portata in questo territorio dai monaci irlandesi, al ritorno dai loro viaggi nell’Europa continentale, durante i quali appresero le tecniche di distillazione dei profumi e varie botaniche a scopo medicale. Ma è intorno all’800 circa, che il whiskey irlandese diventa famoso su scala mondiale, grazie ad un esperimento andato a buon fine, mediante cui si appurò che  l’orzo non maltato conferiva al distillato una viscosità ed un gusto particolari ed unici. Di lì a poco la tassazione si allentò ed il numero di distillerie legali salì di numero.  In un secondo momento storico si iniziò a sostenere che il distillato prodotto dall’alambicco continuo non poteva definirsi “whisky”, per questo motivo anche in Irlanda prese piede la consuetudine di usare la “e” nella parola “whiskey”, proprio per differenziarlo dal cugino scozzese e prendere le distanze dalla pratica del blending.  La parola “Irish”  identifica dunque questo prodotto distillato e invecchiato in Irlanda. Anche gli IRISH WHISKEY  si possono suddividere in sub-categorie come per gli scozzesi, a partire dalle materie prime impiegate e tenendo conto di essere distillati da un’unica distilleria o se si tratta di blend.
Una differente caratteristica dell’Irish whiskey rispetto allo scotch, è data dal fatto che i primi adottano una tripla distillazione rispetto alla doppia dei secondi. Tra i più noti abbiamo Bushmills, Tullamore D.E.W. (con le relative varianti che assumono sentori diversi a partire dalle botti precedentemente impiegate per Bourbon o Sherry). L’Irlanda rimane il paese che insieme alla Scozia si contende il primato sul whisky. L’Irish Whiskey si produce con orzo maltato e non maltato, insieme a percentuali di altri cereali. Quello prodotto da orzo maltato e non, ottenuto nei pot still discontinui, è chiamato il Whiskey d’alambicco. 

Una citazione meritevole ai  MOONSHINE, considerato il precursore più antico dei whiskey. Un distillato di mais non invecchiato, storicamente realizzato clandestinamente nel periodo del proibizionismo. Oggi alcune distillerie producono ancora una vasta gamma di Moonshine aromatizzati per renderli più morbidi e bevibili.

Per concludere questa prima carrellata di whisk(e)y, ricordiamo anche  la categoria dei WHISKY GIAPPONESI.
Un distillato di qualità che per tradizione si lega molto a quella scozzese.
Quella giapponese del whisky è un’industria ben radicata nel paese, complessa e in continua evoluzione. Storicamente si fa risalire la nascita della prima distilleria di whisky giapponese a Yamazaki, da cui prende il nome l’omonimo distillato, cui fanno seguito Suntory e Nikka. Diversi imbottigliamenti hanno vinto premi prestigiosi, ed è scoppiata una vera mania per gli esotici prodotti giapponesi. Il fenomeno ha continuato ad espandersi fino al punto che, le distillerie del paese, hanno finito le scorte di whisky invecchiato, infatti è ormai difficile trovare bottiglie giapponesi che recano ancora in etichetta l’age statement (che rappresenta gli anni di invecchiamento) se non a caro prezzo, sul mercato si trovano principalmente Whisky NAS (la cui età non è dichiarata in etichetta).
Aspetto curioso e ben legato alle tradizioni nel mondo orientale, è il consumo del whisky nipponico (decisamente più morbido, aromatico o floreale) anche a tavola -durante il pasto- complice l’utilizzo di grandi quantità di profumi, spezie e contrasti agro/dolce tipici della cucina orientale, per noi Europei in totale contrasto con il tradizionale (quasi rituale) momento di relax, in cui il whisky diventa una scelta più consapevole nel dopo cena, come digestivo, o semplice momento mistico e individuale a tratti meditativo.

 

 

 


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